LA LAVORAZIONE DEL RAME
di Rosetta e Alberto Margoni
Storia della lavorazione del rame a Vezzano
In località “Alla fonda”, a monte dell'edificio Manzoni, è ancora presente il tratto in muratura della condotta che alimentava la ruota idraulica, tutt'oggi al suo posto, che un tempo trasmetteva il suo moto alternativamente a due magli di cui uno, di considerevoli dimensioni, permetteva la realizzazione delle grandi caldere di rame utilizzate negli alberghi e dai casari per la lavorazione del formaggio, mentre con l’altro si producevano utensili per la casa: paioli, scaldaletti, secchi...
Uno dei magli è ancora presente nell’edificio e la “bot de l’òra” che teneva vivo il fuoco per la fusione dei metalli è ora conservata al museo tridentino di scienze naturali di San Michele all'Adige.
Non sappiamo quando la lavorazione del rame ebbe inizio a Vezzano, è certo però che verso il 1922 essa era fiorente tanto che richiamò da Trento il ramaiolo Pietro Manzoni con i figli Antonio e Alfredo, originari di Vicenza, in qualità di dipendenti del signor Locchi, proprietario della locale fucina. Dopo una breve permanenza a Vezzano, i Manzoni si spostarono sulla roggia di Calavino per avviare un'attività in proprio. Verso il 1927, per sopraggiunte difficoltà finanziarie, il Locchi vendette ai Manzoni il Iaboratorio artigianale. Nel 1975 i magli, mossi dalla grande ruota idraulica, batterono i loro ultimi colpi. lniziò così anche per i Manzoni l'era dell'energia elettrica, con macchinari moderni e partendo da fogli di rame bell'è pronti.
La lavorazione del rame
Il fabbro ramaiolo fondeva le barre di rame portandole ad una temperatura superiore ai 1000 gradi C., con un lungo mestolo versava poi il rame fuso nella forma della misura desiderata, dopo averla spolverizzata con polvere d’argilla per renderla impermeabile.
A questo punto si sedeva su un bassissimo sgabello vicino alla lunga testa del maglio con le gambe divaricate, i piedi appoggiati a due blocchi e portandosi con due grosse pinze la conca di rame ancora rovente sotto il grosso martello iniziava a darle la forma voluta.
La testa del maglio andava a battere sopra una grossa piastra d’acciaio nel cui centro era posto in un apposito incastro un pezzo più piccolo in acciaio temprato e sotto c’era un grande masso di granito.
Era un lavoro faticoso, in un ambiente caldissimo, rumoroso e fuligginoso, che richiedeva grande esperienza e maestria. Il fabbro doveva far girare la conca finchè i bordi si assottigliavano e si alzavano formando l’oggetto voluto, poi doveva martellinarlo per renderlo più robusto e rifinirlo aggiungendo i manici e molto spesso le decorazioni.
Il manufatto veniva sfregato con della sabbia e poi portato in una stanza attigua dove veniva immerso in vasche contenenti soluzioni di acidi che servivano sia per eliminare le scorie sia per lucidare il rame.
Materiali a disposizione per l’approfondimento:
- Il libro delle acque - Gruppi culturali della Valle dei Laghi - 2008 - pag. 330-333: Il fabbro ramaio
- Vezzano7 n.1 - 1991 pag 7-8: L’antro degli uomini neri
I prodotti delle scuole:
- cl. 4^ Vezzano a.s. 1998/99 da “Ieri, oggi domani, l'ape Clementina vi racconta" pag. 147-150: La lavorazione del rame: “el maiar” , el “parolòt”
Altre Fonti:
- La via del rame - Giuseppe Sebesta - Museo degli usi e costumi della gente trentina 2000